Ogni giorno è l'ultimo.
La faccia.
La macchina brontola
ingranaggi arrugginiti
sulla stradina che porta non so dove
l’attimo prima è scomparso
quello dopo è a venire
dal finestrino si vede la faccia
fresca d’inchiostro
oggi cammina sulla punta del naso
corre vola s’impenna per aria scalpita freme
quell’attimo e null’altro.
L’esperimento.
Il mondo è la mia città, un accampamento di zingari in giro per l’elemosina, ci sono i papponi con pieni i coglioni ed anche i mammoni che fan gli accattoni, si mangia e si beve per non farla breve e tutto si butta nel forno per il grande ritorno. Piove la manna ogni dì anche il venerdì e questo conviene a chi si apre le vene…
Guardavo dalla finestra, non si vedeva un tubo ne idea di scandalo, il piatto girava sulla tavola imbandita, suonava una musichetta ma non c’era allegria, la volevo solo per me ma lei apriva i calzoni a tutti quelli a cui schiacciavo i bubboni…
Sia bianchi che neri e gialli ed arancioni fan file per strada davanti i portoni, si sente nell’aria non so che di pietanza condita con l’olio chiamato speranza che polli e maiali han piena la stanza…oggi lo so che è festa per niente, un sasso è la testa che sprizza scintille craniando col dire sul bello della mente, mente per dire e nulla capire c’è solo il ruttare per non morire…
Ecclissi di sole, un gran manicomio, un fuoco che brucia chi lascia la mancia, polvere d’amanti che han fatto vacanza in una filastrocca cantata dal caso con strimpello di naso, c’è questo e c’è quello e tutto fa bordello anche la rima che non è fatta per prima…
Narciso e Eco.
Sulla pagina di oggi le parole vorrebbero uscire dai margini
per volare libere dove frulla il desiderio,
l’hardware resiste, un recinto invalicabile,
allora spingono per allargare il foglio agli spazi sterminati della fantasia
tra stelle che fioriscono petali profumati
tra i peli di una fighetta umidi di rugiada appena colata…
Nel profondo della giungla si sente ruggire la tigre,
una processione d’ ombre segue la fiaccola sulla strada del nulla…
Viene la sera poi si fa notte ed il sogno continua
dentro una botte di mestruo d’annata
tutto è colore quel che suona la banda
la vita in un bicchiere scavato di feccia
camminando nel foglio tra le parole la guardo venir fuori
la mia poesia…
L’uccello di fuoco.
Una pagina vergine nella macchina da scrivere
profumo di carta tra le gambe tornite che s’aprono adagio
le dita accarezzano i tasti alle prime parole
il tocco è la lingua che parla allungandosi golosa
all’idea che zampilla d’un tratto.
Sfrigola lo scheletro in tutti gli ossicini
il piacere dell’essere pieno di rogne pruriginose che cantano allegre sull’aria del metro
s’ingrossa il fiume che porta alla tempesta
grida di gabbiani in volteggi curiosi
tutt’uno col gatto che si mangia il topo.
Sul dunque la punta penetra feroce
vapori di sangue piovono dal pozzo in tutta quell’arte presa nel trip
vaga la mano solleticando il di dietro
musica di arcobaleni tra le due rive
splendido insieme di quell’odio chiamato amor.
All’ultimo rantolo sfila tra i rulli il foglio sfondato
palla di carta per il cestino
un’altra vergine c’è da infilar…