Ogni giorno è l'ultimo.
A Lesbia.
Aveva una pustola tra le gambe
gonfia è violacea,
ce ne stava un litro e faceva proprio schifo
eppure a me piaceva leccarla,
l’addentavo tra incisivi delicati e mordevo,
stillava pus dorato che succhiavo
e lo stomaco beavo
e lui ruttava l’amore del te,
poi ti giravo
e le chiappe t’aprivo alle emorroidi giulive,
in punta di lingua il culo scavavo
e tra i denti le scoppiavo,
oh dolce estasi del divino parlare,
santa poesia il tuo sangue scorreva
giù per il tubo allo scrosciar degli enzimi,
nulla è pensier se non ci pensi
solo parole di tante lettere grate
che dal fetore del mio fiato
tutte per te ho dedicato.
Il contrappeso.
Al mercatino di Porcozio si vendono parole a peso,
“ehilà scimuniti state a sentire questa…”
tante orecchie bilanciate ad ascoltare grave e leggero
girano la ruota delle sfere giù all’inferno e su in paradiso
bene disposte nelle cassette date in asta all’offerente…
Qui il soggetto dà di petto contro scorno che s’è preso,
là l’oggetto canta in coro tutto il tempo che gli resta,
comprare piace quel che il gusto sente intero
per la luce che s’accende quando vedo il suo sorriso
se non fosse per il peto che nel giro si risente…
Rende bene quel che costa a pagare a cuor leggero
pochi spiccioli indorati sulla tavola a far niente,
pieno è il sacco della spesa che s’è fatta,
aria fritta da gustare sulla lingua di una gatta…
L’anima gemella.
Questa è la storia di un burattinaio che si innamorò di una burattina in tutù bianco
mentre gli struzzi, la testa sotto terra, non guardavano,
così prese l’ascensore per scendere da lei mentre la ballerina saliva da lui.
Tra le facce da culo alzate degli struzzi che non guardano
c’è un ring capovolto a testa in giù
che vede il cielo nel centro della terra,
non c’è idea ne poesia,
sabbia arida e brullo gracchiare d’uccellacci spennati,
lunga teoria di tacchini boriosi diretti alla pentola fumante in fondo al cammino,
botte da orbi, facce e rinfacce, orgoglio vergogna e tanta scarogna…
Causa di forza maggior non chiede scusa,
bussa alla porta di quell’intrusa,
vaga la bambola raccattata a terra nel ciel che non splende se non d’invidia,
oggi è parlar corto del creder vero quel che non è,
rallegra la stanza di quel che scrive la sua libertà
a guardar vicino quel che sarà.
Appesa alla gruccia con gli altri la burattina tornò
e tutta la storia finisce così.
Senza prima che rima.
Può essere nel silenzio del loculo vuoto
l’attesa del tempo che manca
immaginando già d’esser lì
nuda la pietra ridotta in polvere
che il vento alza al sublime parlare
non dice ma s’apre al spettacolare tramonto
d’un fuoco di paglia.
Frizzante lo specchio di tanta bellezza
un lago di stelle la zattera sale
sul ramo che è spoglio d’idea,
sul ciglio del nulla l’orizzonte si ferma a guardare
il piacere sorridere nella culla,
è nato nel nuovo cantando e ballando un sogno di carne,
una giostra di incanti,
il piede del naufrago si posa alla terra.
Ebbene così,
simulacro di nulla,
dalla merda cagata di fresco germoglia il seme…