Ogni giorno è l'ultimo.
In quel periodo stavo leggendo Il ritratto di Dorian Gray, non so bene dove fossi, forse sulla Luna o in qualche altro posto del genere, spaesato è la parola giusta, apolide di qualsiasi patria ed avevo uno specchio dove mi specchiavo, guardavo e lo specchio era lì a farsi guardare.
Lo specchio dell’anima forse, una locuzione in vista del confessionale dove farsi la doccia, l’idea era trita ed il libro mi piaceva poco, le figure di nobili che ho conosciuto nella realtà trattano di falliti e buoni a nulla capaci solo di drogarsi e tirare pacchi, sui libri invece sono rivestiti di un comportamento di tutt’altra specie, le Anime morte di Gogol ad esempio, non si capisce un tubo, discorsi idioti, pettegoli, la classe superiore la chiama Oscar Wilde, superiore a cosa?
Diana Spencer bianca sposa immacolata tra uno stuolo di bambini affamati, “mandate un soldino” dice la didascalia, al fianco un accampamento di zingari, l’origine, Dorian Gray ha aperto l’armadio e ritrovato il ritratto, inorridisce dalla vergogna, miseria ed ignoranza, null’altro.
La troika di Cicicov si è messa in moto, dietro uno stuolo di morti viventi che avanza nel buio dell’immagine, la prima volta che mi affacciai allo specchio si vedeva uno che malignava su tutto, era un altro ma non lo sapevo, guardavo e non capivo chi dei due si specchiasse, se sorridevo quello piangeva e se piangevo sorrideva, se stavo seduto si alzava e se mi alzavo si sedeva, una figura al contrario di qualsiasi cosa, una realtà invertita.
L’intuito, chissà se riflettendo un sistema informatico su uno specchio elettronico il sistema si duplica, qualcosa del genere, una fotografia o meglio una serigrafia, uno stampo, di sistema avevo ed ho il mio che funziona perfettamente, lo specchio che guardavo cresceva, diventava sempre più grande, inglobava qualsiasi cosa incontrasse nel suo espandersi e cercava di fagocitarmi nelle sue fauci spalancate, ci provavo, qualche volta lo imitavo ma durava poco, mi sentivo una scimmia, una bestia, un cafone banale e superficiale, un’etichetta e non mi piacevo, preferivo ruttare e scoreggiare e naturalmente splendere di luce propria.
Se accendo si spegne e se spengo si accende, col passare del tempo imparai ad usarlo, il gioco si basa sull’invidia e sulla gelosia, è semplice, se si vuole che dica si basta dire no e naturalmente viceversa.
Una bomba atomica fossilizzata sulla faccia di una cartolina, al passato si vede il fungo alzarsi maestoso e poi immobilizzarsi, intorno miseria e distruzione, “fate la carità” dice la didascalia, al fianco un accampamento di zingari, il sole nascente si proietta al tramonto rosso fuoco, il futuro, intanto al presente lo specchio è ancora lì, ormai ha divorato qualsiasi cosa, il gioco continua, se rido piange se piango ride, per fortuna è talmente grande che i suoi movimenti sono lenti e impacciati, anche l’orbita che compie non si capisce, se dico a destra lui risponde a sinistra o forse è il contrario, a questo punto chi lo sa?…