Ogni giorno è l'ultimo.
Sex appeal.
Un paese dove le case sono nomi, un enorme grattacielo fatto di tanti cassetti messi uno sopra l’altro accatastati con ordine, si vede solo quello ergersi in un cielo di niente senza pavimento sotto, su ogni cassetto è appiccicata l’etichetta con su scritto il nome, i cassetti hanno diverse stanze, uffici, negozi, botteghe d’arte, cortili per l’ora d’aria ed altri particolari al momento insignificanti da nominare nel caso siano utili a qualcosa.
Il Diamante, figura sfaccettata, ogni faccia un significato da interpretare, un posteggio per macchine in rottamazione, un ospizio per vecchi impotenti, loculi di un cimitero abitato da vampiri, favole con personaggi irreali che mangiano e cagano tutti i giorni e si raccontano sempre la stessa pizza ascoltandosi raccontare…
In un cassetto c’è l’ufficio di un grande psichiatra che si chiama Cazzone nell’accezione di grosso cazzo, all’interno l’aria odora d’inferno, passaggio di significati dal dottor Faust al dottor Freud alla categoria che esercita la professione, per modo di dire naturalmente.
Questo in particolare è specializzato nella cura di isterismi femminili, lunatiche, tarantolate e cose simili, ha brevettato un sistema che nessuno è ancora riuscito a copiare e pare faccia un sacco di soldi ed anche dove siano questi soldi nessuno lo sa.
Il dottore è seduto alla scrivania, smoking con contorno vago di un volto sormontato da una impalcatura di corna da fare invidia ai cervi, il resto ha poca importanza. Il cassetto si apre per fare entrare una bella donna, qui bisogna premettere che nei sogni le donne sono tutte belle giovani ed appetitose quindi potrebbe essere una pescata dal mucchio a caso, bruna ma anche bionda o rossa o qualsiasi altro colore, bel viso, corpo slanciato, culo da sballo ecc.
Vapore di sogno, ricordo di un abbraccio abbarbicato come un edera intorno al palo, il profumo di un fiore di carne vermiglio, ribollire di sangue, shakerato, agitato, masturbato, clou della serata, esplode in una sborrata spettacolare di insulti, minacce, frasi senza senso, delirio, sproloquio, furia belluina, rovescia la cristalliera mandando in frantumi piatti e bicchieri, la libreria, tavoli e sedie, tutti gli specchi, i vetri delle finestre e intanto urla sbavando sangue, fa per avventarsi contro il demonio ma questo, pratico per la lunga esperienza, la previene dandole uno schiaffone da farle girare la testa.
Echeggio onomatopeico del sciaff! sui muri del cassetto, l’ossessa si calma all’istante, stelle che girano, meteore, fuochi artificiali tra i pianeti, botti di capodanno, il demonio la fa coricare sul lettino e la spoglia nuda intanto dice: “Il tuo è un caso grave di identità, un pallone gonfiato, bisogna trovare il tappo se vogliamo sgonfiarlo.”
La paziente per nulla paziente ha un rigurgito d’ira che le infiamma gli occhi, riesce a controllarsi e ringhia: “Infame cornuto, chi credi di sfottere? Va be’, non ce la faccio più, cosa mi consigli per guarire?”
Il demonio risponde: “La cura è affare mio, ti garantisco il pieno successo dell’operazione, male che vada morirai ed in questo caso, come diceva Epicuro nel suo tetrafarmaco, non avrai più da preoccuparti di nulla.”
“Bella consolazione…” sbraita lei col pallone che riprende a gonfiarsi, “quanto mi costa?”
Il diavolo con voce bonaria ribatte: “Suvvia, sai bene che qui non si chiedono soldi, naturalmente dovrai darmi la tua anima, tanto cosa te ne fai? La calpesti tutti i giorni, è lo stoino per pulire i piedi dal fango della vita.”
L’ossessa ride sguaiatamente, da pazza e dice: “Chi credi di sfottere, quale anima? Quella so bene che non esiste, tu mi vuoi imbrogliare, lo so…” Urla un paio di volte all’orecchio dei muri e riprende: “Ve bene, è una sfida, ti darò l’anima se saprai trovarla, facciamo la cura.”
Il demonio suadente inizia ad accarezzarle le tette, i capezzoli si gonfiano, i seni duri, onde s’alzano sul mare scontrandosi fragorose contro la costa, alti spruzzi di spuma raggiungono il cielo, i raggi del sole li indora ricamandoli di scintillii iridati, campanellini rintoccano la melodia del vento che inizia a soffiare impetuoso, le mani del diavolo scendono ad accarezzarle il ventre, le cosce, girano intorno alla figa, sbrodolio, sgocciolio, scricchiolio di diga… improvvisamente la demente si ritrova legata al lettino, questo dottore è proprio abile, adesso ha in mano una frusta, un gatto a nove code per fare prima e con quello inizia a frustarla, non è che lo faccia con delicatezza, no no, proprio alla grande, senza pietà, gli schiocchi delle nerbate riverberano tra le pareti e fuori dalle finestre fracassate spandendosi profumo letale per tutta la cassettiera grattacielo.
L’ossessa accenna qualche urlo di terrore poi il dolore l’ammutolisce, rantola col corpo ricoperto di rigatura paonazze, rivoli di sangue si spargono sulla pelle, fiumi, laghi, oceani, la tromba d’aria scava aratro nella carne lunghi solchi scarlatti… piatto cucinato a puntino, il demonio posa la frusta e per qualche secondo si riposa osservando l’opera, perfezione assoluta, non un briciolo di pelle è rimasto intatto, una maschera di sangue, vagiti di sala parto, allunga la lingua ed inizia a leccarla, il gusto del sangue, punto per punto la lecca tutta, accuratamente, sensualmente, con arte, dolore estasi sublime, l’ossessa riprende a gemere di piacere, l’onda si alza a scorrere sui tetti dell’universo, fluire di tempo, srotolamento di pizza, l’origine, la pelle ripulita a specchio prende fuoco, il demonio è il fuoco, l’incendio avvampa, corpo contro corpo, la penetrazione, l’esplosione, la disintegrazione dell’universo…
Dùcento si sveglia, il corpo intorpidito dai morsi dei parassiti che lo stanno divorando vivo, ormai cieco non vede il buio fitto della foresta, i rami spogli di foglie, la luna tramontare in un altro mondo, il vento soffiare per nulla, si sente solo un concerto di mandibole al lavoro, deglutizioni infinitesimali, rutti, scoregge di vermi ingrassati, la scala stregata collega le due rive, il sogno e la realtà, ogni gradino il significato cambia, l’organo rimbomba tra le navate dell’universo, la melodia grave di una fuga al limite di ogni cosa, l’origine.
Per nulla impressionato Dùcento dice: “Allora, che hai scritto? Chat per pettegole inglesi, aria fritta, non riuscirai a distruggermi, son solo parole, non puoi distruggere una cosa che non esiste.”
Parole, creta da plasmare, musica d’incanti, immagini dipinte con la lingua, i tasti della macchina da scrivere, baci, carezze tra i ticchettii della fonte, l’autore, i suoi personaggi e la lunga fila di autori ed attori sepolti nei libri, tanti cassetti d’aprire, identità dimenticate, passaggi di significati invertiti, sembianze, apparenze indecifrabili, scambi d’idea ingarbugliati in una matassa di favole per bambini citrulli…impasto del caso, una macchina, rotelle che girano, cala il sipario…