Ogni giorno è l'ultimo.
Il ratto di Elena.
Terreno incolto, bruciare le erbacce, togliere i sassi, dissodare, arare, fresare, seminare, aspettare… nell’orto si vedono crescere esplosioni atomiche, cavoli nucleari, cazzi radioattivi, la figura ha molteplici angolazioni, l’idea di partenza è negata e lo sviluppo della pianta è conseguenza, una pianta senza seme non ha radice, sta sospesa sul terreno, un soffio di vento ed i cavoli vanno all’aria, rimbalzano palloni verso la rete…
Che tempi erano quelli, un inciso tra parentesi dentro una storia infernale.
Elena è sul letto addormentata, il respiro è tornato regolare, la stanza un campo di battaglia, tutto per aria, è passato l’uragano, si son sopiti spari ed urla di moribondi, nel silenzio si avverte appena il ticchettio di un orologio nascosto nella notte fuori dalla finestra aperta.
L’ho conosciuta la sera prima in discoteca, ballava bene, minigonna vertiginosa, gambe lunghe con un culo che ammazzava, body trasparente con tette all’aria, bionda col viso selvatico, il naso arricciato su una boccuccia dalle labbra protese che invitavano a piaceri innominabili.
La guardavo incantato, muoveva il culo con una sensualità che il mio cazzo stentava a star chiuso nei bottoni, nella confusione danzante, nel fracasso di musiche e luci, nell’ebbrezza del whisky che tracannavo a gogo sentivo la tigre sotto la pelle agitarsi, aveva fiutato la preda e la stava aspettando in agguato.
Al primo lento mi avvicinai, la guardai coi miei occhi assassini e la invitai a ballare, lei accettò senza complimenti e dopo qualche secondo eravamo allacciati nella calca, il suo corpo fremeva d’elettricità ed il mio era un incendio, agivo automaticamente, lasciai che il fuoco si propagasse poi la baciai sul collo, lei accostò le labbra, profumavano di fragole fresche, latte e vodka, tutto girava ma noi eravamo fermi, vertigine, la baciai a lungo, la mia lingua scese giù dalla gola e iniziò a sondarla nel profondo mentre la sua faceva altrettanto, le campane suonavano a stormo, ogni atomo di carne aveva gli elettroni che giravano vorticosi, una nuvola invisibile di desiderio ci avvolgeva isolandoci dall’universo.
Ci sedemmo ad un tavolo, la mangiavo con gli occhi, parlava un italiano stentato con un forte accento russo, la voce leggermente arrocata, non mi ero mai fatto una russa e la cosa era stuzzicante, ci misi tutto l’impegno, sfoderai artigli di poesia e galanteria, i denti della tigre luccicavano bramosi e s’allungavano alla sua carne… dopo un po’ la portai a casa, abbiamo scopato quattro ore di seguito praticamente senza sosta, tutte le posizioni possibili immaginabili, il suo corpo era malleabile e si prestava ad ogni gioco, una furia della natura, allo stereo il Live degli Ac/Dc che avevo messo si è riavvolto cinque volte a tutto volume senza che ce ne accorgessimo, alle sue urla alternavo parole d’estasi, la insultavo sbattendola con violenza poi l’accarezzavo allungandole la lingua nei visceri e s’alzava il tappeto volante tra le stelle del erotismo.
Verso la fine l’avevo messa sotto, le avevo stretto il culo ben saldo tra le mani e gliel’avevo ficcato nella figa fino in fondo, ce l’avevo duro e gonfio e glielo sbattevo con foga primordiale, la sentivo gemere in sordina affannata, le sue unghie scavavano nella carne, mordeva, cercava di divincolarsi ma non ci facevo caso, ero preso completamente, il ciclone si era risvegliato e non avrei potuto fermarlo neppure volendo, improvvisamente si immobilizzò e perse i sensi, continuai ancora preso dalla foga poi mi accorsi che non c’era più ed a fatica schiacciai il pedale del freno, scintille da tutte le parti. Mi alzai preoccupato, la toccai per svegliarla ma inutilmente, il respiro era affannoso ed il cuore le batteva all’impazzata, non sapevo che le russe fossero così poco resistenti, m’alzai dal letto e mandai giù un sorso di vodka, spensi lo stereo ed aspettai che si calmasse, ora la sto guardando al lume di una tremula candela.
La notizia era esplosa, il fungo atomico sollevato aveva liberato un fall out velenoso che si era sparso su tutto il pianeta…
Elaborazione, pensieri sparsi, sull’alta vetta della ragione pura le cose troppo facili appaiono quasi impossibili da calcolare, si stenta a crederci, forse credere non è la parola giusta, il significato espresso appare inverosimile, una favola, le parti dell’universale da comprendere.
Elena, il nome si associa a Troia, rapita due volte, il simulacro della suora in stretta clausura e la puttana per antonomasia, il significato si accompagna al nome, lo segue docile cagnolino al guinzaglio.
Nel sonno si agita, la pelle è percorsa da tremolii, apre gli occhi spaventata e li richiude, mormora parole in russo che non capisco, dalle labbra socchiuse esche un fumetto dove tra bagliori apocalittici si vede la testa di una regina rotolare insanguinata tra la polvere, la testa rimbalza tra le pareti evanescenti del sogno echeggiando boati di tuono, onde che si propagano nell’etere, mare invisibile che fluisce nello spazio del pensiero.
Quante storie per una scopata, mi alzo rollo una canna e me la fumo, il cazzo si è afflosciato ma sono ancora eccitato, la vicinanza del suo corpo nudo distrae, l’odore è forte, reprimo la voglia di farmi una sega e massaggiandolo continuo a guardarla, si è stesa sul letto con le braccia aperte e le gambe incrociate, i capelli sudati le si sono appiccicati al viso come una lunga barba, per un attimo traspare la figura di un cristo sofferente poi la luce della candela si attenua mettendole in ombra la testa e le gambe, si vede solo il busto dalle tette al pube, i seni si sollevano al respiro, sono gonfi coi capezzoli sfoderati leggermente spostati verso l’esterno, sembrano due grosse palle ed il ventre affusolato che si restringe verso l’inguine…ha proprio l’aspetto di un cazzo, rimango colpito dalla figura, lo confronto col mio che tengo tra le mani, si sta indurendo, guardo il suo e vedo che gonfia anche quello, una novità, la voglia torna a ruggire, farlo con una che dorme e come farlo con una morta, problema di non facile soluzione, comunque torno sul letto, sembra proprio un cazzo con la punta che le tocca la figa dall’interno, le labbra sono ancora aperte e squassate dai miei colpi, riflettendo i tremolii della fiammella si vede uscire un filo di liquido vaginale misto a sangue denso come sborra, il profumo è irresistibile, tiro l’ultima nota dalla canna e mentre la nuvoletta si dissolve allungo la lingua per leccarla… gusto impronunciabile.
Lei continua a dormire, nel sonno fa schioccare le labbra, geme leggermente e sposta un braccio a coprire i seni, mentre continuo a leccare solleva il sedere e scoreggia un soffice soffio sibilante, dalla finestra aperta entra la giungla, tam tam rullano nella notte, intorno al falò i cannibali stanno sbranando una donna, urla selvagge, la vittima si smembra da sé tagliandosi con una fredda lama appuntita e getta la sua carne ai convitati, una fontana di sangue si alza gocciolando sul mondo, il fiume scorre impetuoso, il mare apre le gambe per accoglierlo nel suo ventre…la scoreggia non mi ha sorpreso, a certi livelli è come sniffare coca, una prelibatezza, continuo a leccare, la figa si è spalancata ed il liquido vaginale scorre abbondante, mi corico e le abbraccio i fianchi, non so come dire, come se stringessi un grosso cazzone e lo stessi spompinando, una cosa che non avevo mai provato, eccitante, improvvisamente dall’interno della sua vagina si sente un debole uggiolio canino e la figura cambia, solleva il braccio dalle tette che ora sono gli occhi stralunati di un uomo ed il corpo prende la forma di una faccia umana con il muso affusolato di un topo e subito dopo quella di un cane, il cane allunga la lingua fuori dalla figa, mi lecca le labbra e poi la infila in bocca, bau bau… Elena solleva nuovamente il sedere e scoreggia, il sibilo sinuoso s’avvolge nella mente, il sogno di un marito cornuto, l’esposizione alla folla, la gogna, il ludibrio, il disprezzo, la vendetta…
La foresta dove è sepolto Dùcento sta schiarendo ai vapori dell’alba, ha ripreso i sensi, i parassiti lo hanno quasi spolpato, in molti punti si vedono biancheggiare le ossa, fragoroso concerto di mandibole al lavoro, il sogno svanisce dai gradini della scala stregata che continua a salire, il personaggio però è ancora vivo e non sembra aver voglia di arrendersi, una data stampata nel verso contrario della storia, una faccia invisibile che sogghigna nel buio, “Non mi distruggerai, scordatelo, sono immortale, ah ah ah…” la risata del pazzo svanisce oltre il contorno del sogno…