Ogni giorno è l'ultimo.
L’enigma svelato.
“Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia…”
Ero incantato, mi mancava il fiato, sentivo il cuore immergersi in un languore che soffocava, ero scivolato ai tempi del liceo e dello Stil Novo, la bellezza idealizzata, l’amore platonico del poeta, quei tempi… poi con l’esperienza avevo conosciuto ben altri tipi di donna e m’ero in parte ricreduto ma ora ero nuovamente lì, mi sentivo infimo, un verme, non osavo neppure guardarla… i veli azzurri la facevano sembrare una madonnina vergine e pura, dalle trasparenze giocando con le ombre ed i riflessi del sole si intravvedeva il corpo nudo, le tettine a coppa dai capezzoli fioriti, i fianchi sottili e perfetti, la linea dei lombi una pennellata di dolcezza, le gambe affusolate ed armoniche, i piedini soffici aerei sopra la miseria terrena…
Il campanile alla Piana batté due rintocchi, il suono salì su per la valle soffiando lungo il sentiero, il cielo era sereno, il sole splendeva, le vigne ancora umide di pioggia riflettevano i raggi da ogni goccia, la luce di un immenso tesoro di pietre preziose danzava nell’aria la gioia dell’amore ritrovato, quella figura era dentro di me, la covavo da bambino poi l’avevo persa ed ora eravamo di nuovo insieme… i cani continuavano ad abbaiare e ululare sopiti dalla lontananza, al momento non ci feci caso, cercavo di parlare ma l’ansia mi teneva tappata la bocca…
“la guardavo ed occhi erano le fauci della tigre che si pascevano dei suo brani…”
Lei si muoveva con grazia delicata, sembrava cercare la sua goccia, mi fissò ad occhi abbassati arrossendo e aprì la bocca per parlare, dalle sue labbra non uscivano parole, la musica della primavera, il fiorire della vita, l’esplosione dei colori, il volo puro nell’aere della bellezza senza macchia.
Quella voce… ebbi l’impulso di gettarmi ai suoi piedi e farle dono della vita ma mi trattenni, dai sentieri lungo le vigne erano apparsi dei cani, certi molto grossi, avevano tutti gli occhi che lucevano arrossati e sbavavano con la lingua penzoloni, si avvicinavano ringhiando ed altri ne stavano arrivando, nell’aria c’era un non so che di inebriante, un profumo che sembrava provenire da lei, eccitante ed impalpabile e mi stava elettrizzando, mi sentivo come… per intendersi come si doveva sentire il dr. Jekyll prima di trasformarsi in mr. Hyde ma al momento non lo sapevo ancora, i cani erano una cosa fastidiosa, troppi per poterli cacciare, presi la fata per mano ed entrammo nel recinto, i cani si misero a correre e si gettarono contro la rete, abbaiavano ed ululavano sbavando, entrammo nel covile e chiusi la porta, dentro era la penombra rischiarata dalla luce che entrava da una finestrella, il pavimento di paglia frammisto a numerose fatte di animali datate di qualche giorno, l’odore di sterco era forte.
Mi affacciai alla finestra, fuori i cani facevano ressa intorno alla rete, erano centinaia, tutti maschi, le loro fauci battevano sorde morsicando l’aria, molti saltavano sopra quelli davanti cercando di incularli e si accendevano lotte furiose, che cosa stava succedendo?
Ubriaco, mi sedetti su uno stollo di paglia e mi sistemai la fata sulle ginocchia, sentivo una repulsione e nello stesso tempo un’attrazione irresistibile, non volevo ma un altro incominciò a stringerla tra le braccia ed a baciarla, lei tirava indietro la testa, le tempestai il collo di baci mentre la frenesia cresceva, cercai le sue labbra, scappavano e le inseguivo e le toccavo ed era fuoco e tornavano a scappare e le riprendevo, riuscì a metterle la lingua in bocca, lei rimase impassibile, il cazzo mi era diventato durissimo e faceva male stretto nei pantaloni, cercavo di accarezzarle il corpo, cercavo un varco tra i veli ma non ce n’erano, provai a strapparli ma sembravano attaccati alla pelle, continuavo a baciarle la bocca, le labbra tumide, timidamente la sua lingua iniziò a dialogare con la mia, sospiri delicati, carezze soavi… non ce la facevo più, i veli non venivano via, mi sentivo proprio una bestia, un altro, gli ululati dei cani fuori mi stavano contagiando, mi strappai la cerniera dei pantaloni e tirai fuori il cazzo, lo afferrai saldo in una mano e con l’altra misi la fata in ginocchio, le presi la testa e la spinsi con la bocca contro la cappella, lei teneva i denti serrati, spinsi finchè li aprì, la feci fregare con le labbra tutto intorno e poi glielo ficcai in gola stringendo a forza i capelli sotto il velo.
Non l’avessi mai fatto…il senno di poi… una cosa incredibile, all’inizio era riluttante, impaurita, teneva la bocca spalancata per non toccare il cazzo con le labbra poi avvenne un cambiamento, iniziò ad assaggiarlo con la lingua e chiuse la bocca, sembrava fosse di suo gusto ed iniziò a fregarlo con le labbra appiccicate spingendolo con golose leccate contro il palato, i suoi veli si erano riempiti di fili di paglia e frammenti di sterco, iniziarono a sciogliersi mentre ancheggiava con il ventre tenendo il culo sollevato, dopo qualche secondo erano scomparsi ed ora appariva completamente nuda, le gambe fasciate da calze nere e giarrettiera, i capelli turchini sciolti e selvaggi, la bocca lavorava a pompa battente, non avevo più bisogno di tenerle la testa, lo stringeva a due mani e lo succhiava vorace, mi sentivo volare lungo la tromba del vulcano ed esplosi all’aria incendiando l’universo, le sborrai in bocca urlando, lei inghiotti famelica e continuò senza rallentare, anzi, uno spettacolo, provai a sollevarle la testa ma non volle smettere, ero ancora infoiato e la lasciai fare, venni ancora e ancora continuò, il concerto di cani fuori era diventato assordante, con un tonfo la porta si spalancò sotto la spinta, venni per la terza volta e i cani cominciarono ad entrare, provai a staccarla dal cazzo ma non c’era verso, per quanto tirassi non veniva via, sembrava incollato e continuava a pompare alla grande mugolando di piacere, un cane le saltò addosso e la penetrò da dietro, volevo reagire ma le forze mi avevano abbandonato, il cane diede una decina di colpi e venne subito, si sganciò ed un altro prese il suo posto, infoiato, la lingua sbavante, anche questo venne subito e fu subito sostituito, dietro la fila premeva e quella ad ogni rapporto urlava di piacere e continuava a succhiare, lo spingeva in gola fin dove arrivava, sentivo la sua lingua vorticare intorno alla cappella e continuavo a venire, un orgasmo continuo, sperma non ne avevo più e cominciai a pisciarle in bocca, beveva tutto e ne voleva ancora, i cani si succedevano uno dopo l’altro, chi in figa chi in culo, davano quattro colpi e via, il pavimento si stava riempendo di sperma schiumosa che il trapestio mescolava allo sterco, andò avanti così tutto il giorno e buona parte della notte, ai cani si aggiunsero un centinaio di maiali scappati da un allevamento e capre, somari, tori, cavalli, i galli cantavano sul tetto, arrivarono anche i contadini, giovani e vecchi, tutti trovavano la loro parte…
Ad un certo punto dalla porta non entrò più nessuno, s’era fatto silenzio, sul pavimento uno strato alto mezzo metro di sperma che schiumava ribollente vivo di spermatozoi festanti, con un sospiro soddisfatto la fata si stappò il cazzo dalla bocca e si tuffò in quel lago effervescente, le gambe sciolte nella coda di una sirena, danzava e cantava la festa della natura, era notte ed il sole brillava tra miriadi di stelle che esplodevano in fantasmagorie di luci e sapori primordiali, l’autore che scriveva richiamò ogni parola sciogliendola nelle lettere dell’alfabeto, diede una bella mescolata e sogghignando smise di scrivere…