Ogni giorno è l'ultimo.
L’io narrante.
Scrivo una parola, ecco l’ho scritta, la parola è al presente e prima di scriverla non c’era, quando l’ho scritta è passato ma la parola è rimasta al presente, la vedo bene adesso, posso probabilizzare che tra un’ ora, al futuro, sarà ancora al suo posto, naturalmente se non la cancello, fra un anno fra mille tra un milione la parola sarà sempre al presente nel momento che la guardo, arrivarci però… adesso mi accorgo che scrivendo a quella parola se ne sono aggiunte altre e adesso si trova in fondo, cioè all’inizio della pagina, se seguo quello che scrivo non la vedo, devo smettere per andare a guardarla, in questo caso è presente o passato? Scrivo al presente e la parola è sempre più indietro, se smetto di scrivere interrompo al presente per tornare indietro nel tempo e richiamarlo e quel che scrivo si gira al passato? Che problema, per fortuna in questo momento non sto scrivendo, sto camminando per un sentiero di campagna, pomeriggio verso il tramonto, sole caldo, aria afosa, intorno i colli dell’Astigiano, qualche vigna sparuta qua e là, tanti boschi, ricordo da bambino la terra gonfia di vigne, i contadini al lavoro, tutti morti, quelli che camminavano su questo sentiero, mi sembra di vederli, indietro nel tempo oggi, che abbia qualche attinenza?
Il pensiero, la memoria, il computer, adesso sto di nuovo scrivendo e sul sentiero alle mie spalle, sui passi fatti prima l’afa sembra concentrarsi in una nebbia soffocante, una nuvola, striscia cercando di modellarsi in una figura, va avanti, si comincia a vedere un cavallo con uno sopra ed a questo punto il cavallo si impenna ed il cavaliere prende la forma di Napoleone con la spada sollevata, maestà l’imperatore, il cavallo nitrisce di furia ma è solo aria e non si sente, la nuvola è immensa, tocca il tetto del cranio poi piano piano, in una neve candida di vapori svolazzanti che scende a terra si scompone in tante piccole figure, tutte a cavallo, eccole lì incolonnate in processione a guardarmi, tra i tanti riconosco Alessandro Magno, Giulio Cesare, Gengis Kan ed altri del tipo, a che serve fare i nomi, tanto ormai si è capito di chi si tratta.
Si sono sistemati sui miei passi percorrendo il sentiero, quei passi, quello laggiù subito dopo la curva, adesso che lo vedo il passo è al presente ma quando ci avevo il piede sopra era prima, come la parola che sta all’inizio della pagina, sopra il solito condottiero col cavallo che scalcia d’impazienza, le figure sono vapore, ce ne sono a non finire, non parlano eppure tutte sembrano dire: “Allora, che aspetti, va avanti!”
Il problema sembra irrisolvibile, riprendo a camminare sbirciando di tanto in tanto dietro per vedere che fanno, naturalmente mi seguono, a questo punto ricordo di un racconto che l’autore aveva iniziato tempo fa, prima della parola in questione, voleva continuare la storia di Cicicov e delle anime morte, fulmine a ciel sereno, figura azzeccata, eccomi qui, allora sono “io” Cicicov e quei vapori li dietro le anime dei contadini russi morti comprati in quel famoso villaggio?
Improvvisamente mi ritrovo sulla troika con i cavalli al galoppo, scia di polvere che segue, dal finestrino vedo una bella contadina macedone dalle tette prosperose che sta lavorando tra le viti, “Bella vigna!” le grido con voce da intenditore.
“Grazie!” risponde quella inespressiva senza alzare lo sguardo, la corsa continua, è già al passato, adesso…
Una figura emblematica.