Ogni giorno è l'ultimo.
Il filo del Canone è bizzoso, quel che si scrive e le figure da interpretare, i significati stanno sui livelli di comprensione, da sborrarsi nelle mutante è per pochi…
Stavolta l’autore che scrive s’immagina d’essere un mago e “io” sono la sfera magica, nella sfera adesso si vede un pesciolino d’oro che luccica, fa qualche giravolta luccicante lanciando scintille da tutte le parti e poi mi ritrovo ad una riunione di cannibali.
Le figure della storia sono accertate solo dalla credenza comunque sono le figure che montano l’immaginario collettivo, si vede un ospedale santuario come quelli si dice ci fossero una volta in Grecia, tipo l’oracolo a Delfi con la pizia ecc.
In questo sull’insegna c’è scritto Liceo, chiaro riferimento ad Apollo, ai lupi ed ai manicomi.
Mi viene incontro un tipo, meglio un tipaccio, tozzo, vestito solo dei suoi peli folti neri ed irsuti, la faccia da licantropo con gli occhi rossi e spiritati.
Senza preamboli, con voce cavernosa e rimbombante, dice: “È tempo di vendemmia, andiamo a fare un giro nella vigna.”
Lo seguo, più che camminare rotola, evanescente, forse è il modo di fare dei cannibali, cioè di quelle cose che esistono solo per sentito dire e poi quando se ne incontra uno non si sa com’è.
Arriviamo in una specie di porcile, un fetore indescrivibile, su una collinetta cintata da un alta staccionata di ferro arrugginito, inceppati al ventre come in una gogna, ci sono esseri dalle forme antropomorfe, questi non hanno peli, stanno ginocchioni e di loro si vede solo il culo. Le gogne sono disposte a filari fino alla cima, proprio come una vigna oppure a voler essere puntigliosi, le panche di una chiesa.
Il cannibale sogghignando si avvicina ad un inceppato e gli dà una pacca sul culo, un bel culo tondo e paffuto, leggermente grinzoso. All’ano, modellato come chicchi d’uva, pende una grossa emorroide gonfia di sangue, al colpo i chicchi fremono come volessero scoppiare. Sul colle scorre un diffuso mormorio di grugniti intraducibili.
Il cannibale stringe un chicco tra le dita e dice: “Maturo al punto giusto, vuoi assaggiarlo?”
La risposta non viene, quello senza dar di conto ne morde uno e se lo fa scoppiare tra i denti poi sta un po’ lì a succhiare avido.
L’inceppato strilla come un porco, su tutto il colle gli altri lo imitano, intanto il cannibale si pulisce con i peli del braccio la bocca lorda di sangue e con un cenno mi invita a provare: “Ottimo!” aggiunge, “non si potrebbe desiderare di meglio.”
Come si può immaginare seguendo la logica causa effetto, il grappolo di emorroidi è spalmato di merda più o meno fresca macchiata dal sangue di quella appena scoppiata, il sangue è schiumoso, vivo…il profumo decisamente acre, uno non abituato potrebbe trovarlo rivoltante ma qui sono solo parole e si può immaginare ma non di più.
Si sono avvicinati altri cannibali, tutti neri e pelosi, i peli sono lunghi e infeltriti simili a tonache, sono visibilmente agitati, anzi affamati e molti sbavano guardando la vigna.
Il fiato sul collo di un cannibale, può sembrare il volo di un drago che atterra rombando un’esplosione frastornante, non si capisce bene se lo faccio o no comunque sento il chicco tra i denti, schiaccio, un botto di sangue in bocca, il gusto… ce ne sono tanti, anche questi a livelli, saperli abbracciare tutti e poi da esperto gastronomo profumiere dividerli nelle loro essenzialità, ingoio, un tunnel scorre torrente impetuoso, improvvisamente mi ritrovo su una spiaggia, è notte, il mare agitato è illuminato dalla luna piena, la luna allunga una lunga lingua di luce che scorre sulle onde ed arriva a lambirmi i piedi…