Ogni giorno è l'ultimo.
La fata.
Era una giornata di fine inverno, poco dopo mezzogiorno e pioveva, stavo in casa ad ascoltare le gocce d’acqua tamburellare sul tetto, ero annoiato, idee ne avevo tante ma nessuna che si potesse realizzare allora mi misi alla macchina da scrivere per continuare il racconto, caricai un foglio nel rullo e rimasi a guardarlo tamburellando con le dita sui tasti, idee ne venivano però se guardavo le probabilità che seguivano finivano tutte in un cimitero, la cosa era deprimente per l’autore che scriveva, nel frattempo aveva smesso di piovere ed era uscito il sole, fuori si sentivano gli uccellini cinguettare allora mi fece alzare, prendere la macchina fotografica ed uscire a caccia di folletti.
A queste cose c’è chi ci crede e chi no, nel mio caso ne uno ne l’altro, in materia ho letto molto e so che almeno nei libri esistono, il popolo fatato degli irlandesi ad esempio, favole per bambini citrulli che si tramandano da generazioni, forse dall’inizio del tempo, forse esistevano una volta e poi con il crescere della civiltà umana sono scomparsi oppure si sono nascosti.
Probabilità, qualcosa di vero nelle storie tramandate c’è sempre, se si sono nascosti lo hanno fatto davvero bene perché non si vedono più da nessuna parte eppure, dopo anni passati a cercarli, ho scoperto dove si trovano. Avevo ragionato guardando le figure casuali dei raggi di sole che si rifrangono nelle gocce d’acqua lasciate dalla pioggia sui fiori, riflessi colorati dai petali e dagli oggetti che stavano intorno, ho cominciato a vedere dei pesci venire fuori e nuotare dentro le gocce come in una vaschetta, ne ho fotografati molti, anche uccellini e poi sono comparse facce, figure del tutto casuali che comunque mi hanno introdotto in un’altra dimensione, in proposito sul pentagramma del Canone ho elaborato una figura che riguarda gli script naturali che devono essere presenti in un cosiddetto “quanto” di energia inteso come unità di misura, quel che gli informatici chiamano bit, gli script attivano programmi che vengono eseguiti dal computer, qualcosa del genere deve avvenire anche nelle gocce d’acqua e da allora tutte le volte che si presentano le condizioni adatte li vado a cercare.
Fino ad allora ero riuscito solo a fotografarli ma quel giorno ecco cosa avvenne.
Mi trovavo nell’Astigiano, nel cuore del Piemonte celtico, incamminato per un sentiero di campagna che si inerpicava su per una valle tra colline di vigneti, qua e là si vedevano cascinali e si sentivano cantare i galli, il cielo era diventato sereno ed il sole splendeva, sui prati ancora rasi per la stagione c’erano pochi fiorellini sparuti, l’erba bagnata luccicava, la luce ideale per fare foto, ormai pratico cercavo una bella goccia dove sapevo che li avrei trovati, finalmente ne vidi una, stava sulla punta di un rametto di una siepe di lauro che sporgeva da una rete metallica che cintava un piccolo covile, la goccia rifletteva l’azzurro del cielo ed i raggi di sole insieme ai colori verde argentati delle foglie del lauro, le maglie semi arrugginite della rete e i mattoni rossastri della stalla.
In giro non si vedeva nessuno, misi la funzione macro nella macchina fotografica e la puntai sulla goccia. Cercai qua e là, i riflessi disegnavano paesaggi incantati ma per il momento null’altro, non è che arrivino subito, bisogna aspettarli in agguato con molta pazienza, di solito fanno capolino fuori dai loro nascondigli per qualche secondo e bisogna essere pronti e rapidi per fotografarli. Finalmente dopo una decina di minuti uscì un pesciolino e si mise a guizzare dentro la goccia, di quelli ormai ne avevo a bizzeffe e lo lasciai passare, poi uscì una faccia col naso lungo ed il cappellino in testa, sembrava Pinocchio, scattai una decina di foto in sequenza e sparì subito, la caccia prometteva bene, dopo seguirono dei cavallucci di mare che trainavano una carrozza ma passarono talmente veloci che non riuscii ad acchiapparli, poi, volteggiando come una farfalla apparve una figura femminile, una piccola fata che si fermò a piroettare. Il dito premette automaticamente il pulsante di scatto ma avevo avvicinato troppo l’obiettivo al rametto e lo toccai facendo cadere a terra la goccia.
Trattenni l’imprecazione per l’occasione perduta quando accadde una cosa che mi lasciò letteralmente a bocca aperta. La goccia era caduta su un sasso esplodendo in mille pezzi, sull’impronta lasciata c’era un puntino che si muoveva, in un attimo divenne grande e mi ritrovai davanti quella fata, era tutta vestita di veli dalle sfumature azzurre semitrasparenti ed aveva i capelli turchini lunghi e fluenti, era esile e soave, bella che una cosa così bella non immaginavo neppure che potesse esistere.
Ero incantato, non sapevo che fare, lei si guardava intorno smarrita con occhi increduli e la boccuccia imbronciata, aveva gli occhi che si aprivano all’infinito e non si finiva mai di volare, sembrava che si fosse appena svegliata da un sogno. Dopo qualche secondo da tutti i cascinali intorno iniziarono ad abbaiare i cani…